“Mobbing e doppio mobbing: quando le condotte di terrorismo psicologico sul lavoro si trasferiscono nell’ambiente familiare della vittima.

Per mobbing si intende una serie di condotte ostili, svilenti e lesive della dignità della vittima di tali atteggiamenti. L’etimologia del termine ha trovato la sua origine nelle condotte tenute dagli animali più forti del branco nei confronti dell'”anello debole”, per estraniare quest’ultimo e allontanarlo.

Il fenomeno in questione è stato studiato sugli esseri umani per la prima volta nel 1996 da Heinz Leymann, accademico e psicologo svedese, che lo ha definito come una condizione di persecuzione psicologica nell’ambiente lavorativo.

Pochi anni più tardi, nel 2002, anche Herald Ege, psicologo del lavoro, ha così definito il mobbing: “Con la parola mobbing si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi e superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivo di licenziamento”.

Sia Ege che Leymann, inoltre, hanno studiato le condizioni necessarie, affinchè possa parlarsi di mobbing.

Per Leymann, sussiste una condotta mobbizzante al verificarsi di 4 condizioni:

  • Conflitto quotidiano;
  • Inizio delle condotte mobbizzanti quando la vittima viene attaccata dal punto di vista psicologico, delle relazioni sociali, della comunicazione, della professione;
  • Abusi: trasferimenti, richiami ingiustificati, demansionamento;
  • Esclusione: la vittima viene esclusa e isolata da parte dei colleghi e/o dei superiori fino a presentare disturbi psicosomatici, fino ad arrivare alle dimissioni, al prepensionamento o al licenziamento.

Più complete sono le condizioni elencate da Ege:

  • il conflitto deve verificarsi sul posto di lavoro;
  • il conflitto deve reiterarsi almeno alcune volte al mese;
  • il conflitto deve durare da almeno sei mesi;
  • il conflitto deve caratterizzarsi da isolamento sistemico, cambiamento delle mansioni, lesione della reputazione professionale e privata, violenza o minacce;
  • la vittima deve trovarsi in condizioni di inferiorità;
  • il conflitto deve essere sempre in crescendo e deve avere raggiunto la seconda fase del modello Leymann;
  • il conflitto deve tendere alla provocazione di sofferenza che spingano la vittima a dare le dimissioni.

Herald Ege, inoltre, ha studiato le conseguenze e gli obiettivi del mobbing.

Se da un lato secondo Ege il fenomeno si verifica in ambiente lavorativo al principale scopo di spingere la vittima a licenziarsi, nel contesto privato e familiare si verifica – come conseguenza – il cd. “doppio mobbing”. Tra le conseguenze del mobbing, infatti, ansia, depressione, attacchi di panico sono i principali sintomi e si riversano anche sulla famiglia della vittima, che dovrà fronteggiare a sua volta i sentimenti di sofferenza, frustrazione e dolore. Quando però l’atteggiamento di negatività si protrae per molto tempo, si sviluppa il rischio di una crisi familiare che vedrà progressivamente l’isolamento della vittima anche su un altro piano, quello familiare, generando così il “doppio mobbing” di cui si accennava poco fa.

Sempre in tema di conseguenze, si ricordi che le stesse non si verificano solo nei confronti della vittima, ma anche nei confronti del carnefice.

Infatti, se è vero che non esiste nel nostro ordinamento un’autonoma fattispecie del reato di mobbing, è altrettanto vero che la giurisprudenza ha generalmente condannato tali comportamenti facendoli rientrare nelle condotte penalmente rilevanti qualificabili come lesioni dolose o colpose, molestie, abuso d’ufficio, minacce, oltre a garantire alla vittima il risarcimento dei danni.