Tecnostress: una malattia sempre più diffusa nel mondo del lavoro.

Si sente sempre più spesso parlare del disturbo da tecnostress e questo perchè la tecnologia e l’utilizzo dei device fanno ormai parte della nostra quotidianità professionale ed extraprofessionale.

La diffusione del lavoro da remoto, inoltre, pur generando importanti vantaggi sul work-life balance, ha aumentato il rischio di sviluppare malattie strettamente collegate all’iperconnessione.

La definizione di tecnostress è stata in realtà coniata molti anni prima che la pandemia ridisegnasse le nostre abitudini quotidiane. E’ stato, infatti, lo psicologo americano Craig Brod a studiare per la prima volta il tecnostress (1984 – “Tecnostress: the human cost of computer revolution”), qualificandolo come: “un disagio causato dall’incapacità di affrontare le nuove tecnologia del computer in modo sano. Si manifesta in due modi distinti: nello sforzo di accettare la tecnologia informatica e nella forma più specifica di identificazione con la tecnologia informatica”.

Pochi anni più tardi (1997), gli psicologi Larry Rosen e Michelle M. Weil hanno ampliato la definizione, affermando che si parla di tecnostress in relazione a “qualsiasi impatto negativo su atteggiamenti, pensieri, comportamenti o sulla psicologia, causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia”.

Nonostante il disturbo fosse ormai studiato da anni, bisognerà attendere il 2007 e la Sentenza della Procura di Torino per vederlo riconosciuto per la prima volta come malattia professionale. Ulteriore tappa del percorso del tecnostress come malattia regolamentata e riconosciuta è stata nel 2014, quando l’INAIL l’ha inserito nelle malattie professionali non tabellate, ovvero quelle per le quali l’obbligo della prova spetta al lavoratore.

Ma quali sono i sintomi del disturbo da iperconnessione?.

Il tecnostress si manifesta in maniera diversa a seconda della persona, tramite una sintomatologia che generalmente si divide in:

  • sintomi fisici, come insonnia, disturbi gastrointestinali, formicolio agli arti, aumento della sudorazione, fatica cronica, aumento della frequenza cardiaca, disturbi ormonali nelle donne, mal di testa;
  • sintomi psichici, come irritabilità, depressione, cambiamenti comportamentali, crisi di pianto, apatia, ansia, mancanza di motivazione personale e professionale, diminuzione della produttività.

Netdipendenze (Associazione nata con l’obiettivo di sensibilizzare sui rischi della videodipendenza) ha condotto un’indagine per individuare le categorie professionali più a rischio a causa dell’iperconnessione ed è emerso che i professionisti più esposti sono:

  • i progettisti e amministratori di reti che utilizzano ininterrottamente il pc 12,5 ore al giorno;
  • i giornalisti web, con 12,2 ore al giorno davanti a pc e televisione;
  • gli operatori finanziari con una media di 11 ore di utilizzo giornaliero di pc e telefoni.

E’ evidente che il rischio si sia acuito in maniera esponenziale con la pandemia e le nuove modalità di lavoro smart.

Basti pensare che secondo una stima condotta da Microsoft intervistando 31.000 lavoratori e utenti, tra febbraio 2020 e febbraio 2021 sono state scambiate oltre 40 miliardi di mail, il numero di meeting online è aumentato del 148%, l’utilizzo di chat si è incrementato del 45% durante l’orario lavorativo e del 42% al di fuori dello stesso.

E’ necessario precisare, infine, che nonostante lo smartworking e i temi della sicurezza professionale ad esso collegata fossero stati disciplinati nel disegno di legge approvato il 16 marzo 2017, il tema è stato ripreso e approfondito durante la pandemia alla luce dell’aumento smisurato di casi di stress da iperconnessione registrati in quel periodo.

E’ proprio per questa ragione che è nato il cd. “diritto alla disconnessione”, riconosciuto nel Piano organizzativo del Lavoro Agile pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 31 marzo 2021 grazie al quale “al dipendente che rende la propria prestazione lavorativa in modalità agile è garantito il rispetto dei tempi di riposo nonchè il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche”.

Se, pertanto, prima d’ora il tecnostress poteva essere causato dalla nascita di nuove tecnologie o dall’impatto negativo della stessa sugli esseri umani, oggi deve essere più completamente definito come quel disturbo associato alla ricezione di un numero elevato e ininterrotto di informazioni dai devices professionali e non, che limitano sempre di più il confine tra vita privata e lavorativa e che troppo spesso conducono ad una grave minaccia per la salute degli individui.